“La filosofia analitica è simile al panno per pulire gli occhiali, ossia ci si vede meglio ma non affronta le grandi questioni” (H. G. Gadamer)
Il Novecento è stato un secolo ricco di sperimentazione e innovazione: l’etnomusicologia, la riscoperta di tecniche musicali antiche, l’elettronica, il pop, le infinite fusioni di generi e tendenze diverse, la musica classica moderna e contemporanea hanno continuamente rovesciato a distanza di pochi anni gli uni dagli altri paradigmi e processi generando continua ricerca su diversi fronti.
Non da ultimo il jazz che a inizio secolo scorso ha letteralmente rivoluzionato la concezione musicale, reintroducendo l’improvvisazione come elemento creativo fondante, ampliando le possibilità tecnico espressive di molti strumenti (si pensi ad es. agli ottoni, il sassofono, la batteria), con una costante sperimentazione nei parametri del ritmo, della melodia e dell’armonia determinata anche dalla grande permeabilità ad altri generi musicali di questa musica.
Il Postmodernismo ha ben messo in luce a fine secolo scorso virtù e limiti di questa babele di linguaggi. I compositori contemporanei oggi sono capaci, e non potrebbe essere altrimenti in un mondo globalizzato, di esprimersi con competenza in stili e generi diversi, facendo della sintesi e della commistione la dote creativa fondamentale, nella quasi impossibilità di muoversi in modo creativo all’interno di un unico codice linguistico senza ricadere nell’accademismo o in un puro esercizio di stile.
Il jazz da far suo ha cercato di sistematizzare e organizzare il materiale musicale in modo sempre maggiore, vista la sua diffusione su scala planetaria e la nascita di scuole e accademie a esso dedicate. Dai pionieri della didattica Lennie Tristano e Barry Harris ai numerosi metodi per l’improvvisazione e la composizione (giusto per citarne alcuni Jerry Coker, Hal Crook, Jerry Bergonzi, George Russel, David Baker, Jamie Aebersold, ecc.) in molti hanno proposto sistemi di riorganizzazione del materiale musicale per aiutare l’improvvisatore a gestire il flusso creativo in modo organico.
Spesso in questa ricerca oltre alla semplice trascrizione, analisi e rielaborazione di soli e frasi celebri si sono cercati processi di rielaborazione del materiale: le bebop scales, le scale pentatoniche, l’utilizzo esclusivo di alcuni gradi delle scale musicali, l’utilizzo delle triadi e degli intervalli, concetti e approcci (ad es. Lydian Chromatic Concept) sono solo alcuni degli strumenti proposti in testi e corsi da didatti e artisti.
Nel mio personale percorso di studio e ricerca ho trovato nell’uso degli insiemi (o classi dall’inglese pitch class set) di altezze, sviluppato nell’ambito della serialità a metà del Novecento, con protagonisti tra gli altri il compositore Milton Babbit e il musicologo Allen Forte, uno strumento utile e fertile, capace di sintetizzare molti dei metodi sopra citati e di individuare relazioni e affinità tra materiali musicali diversi.
Come da citazione nell’incipit del filosofo Hans-Georg Gadamer, la teoria analitica degli insiemi non risolve le grandi questioni estetico-artistiche, ma aiuta a vedere meglio quelle che possono essere le relazioni tra diverse altezze e le loro combinazioni possibili.
Nel jazz molti dei metodi sopra citati non fanno altro che suddividere in insiemi organizzati il materiale melodico (il sistema tonale è stato definifo da alcuni compositori serialisti nient’altro che un sottoinsieme ascrivibile alla teoria degli insiemi) attraverso l’uso prevalente di volta in volta di pentatoniche, arpeggi, frammenti di scale o estensioni delle stesse (bebop scales o scale sintetiche ad es.). Si pensi ad es. all’idea di voicing nell’armonia jazz, dove un determinato insieme di altezze nei suoi possibili rivolti esprime un colore sonoro spesso utilizzabile in diversi accordi e funzioni armoniche, acquisendo in qualche modo un significato quasi superiore a quello dell’accordo che esprime. L’analogia con gli insiemi di altezze è piuttosto evidente, dal momento che una delle caratteristiche di questo tipo di gestione del materiale musicale è proprio quella di poter analizzare, studiare e sviluppare un gruppo di note in modo estremamente libero, quasi fosse lo stesso materiale a suggerire, date le sue caratteristiche e proprietà, i possibili sviluppi.
Proviamo ora ad analizzare un voicing considerandolo un insieme intervallare.
Il voicing F, B, E, A (fig. 1) può essere usato (fig. 2,3,4) in molti accordi (ad es. G7, Dm6, Db7alt, ecc.).
Per poterlo analizzare come fosse un insieme dobbiamo fare alcuni piccoli passi: il primo è quello di ricondurre il nostro materiale a una sola ottava di riferimento.
Il secondo è quello di ricondurlo in una successione dove gli intervalli siano distribuiti in un ordine crescente: E, F, A, B (fig. 5).
Il terzo è quello di riordinare il nostro insieme in modo che la distanza tra la prima e l’ultima altezza dell’insieme sia la minore possibile.
Queste operazioni mirano quindi a riorganizzare il materiale in modo da avere un insieme ordinato per grandezza e distanza.
A questo punto possiamo trasportare l’insieme in modo da far coincidere la prima nota con la nota do. Il nostro insieme diverrà quindi C, Db, F, G (fig. 6).
Nella teoria degli insiemi per risolvere le confusioni create dall’enarmonia e per meglio valutare le distanze intervallari si sostituiscono i nomi delle note con la successione numerica da 0 a 12: il nostro insieme diventerà quindi 0 1 5 7.
Questo tipo di riduzione consente di raggruppare tutte le possibili combinazioni di altezze in un numero finito di insiemi. Esistono tabelle, anche sul web, che riassumono il totale degli insiemi possibili:
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_pitch-class_sets
esiste inoltre un utile e divertente calcolatore on-line dei possibili insiemi:
https://www.mta.ca/pc-set/calculator/pc_calculate.html
In questo caso il nostro insieme corrisponde al numero 4-16, dove il numero 4 indica il numero cardinale, ovvero la quantità di altezze implicata, e il 16 è l’ordine in cui compare questo insieme tra tutti gli insiemi cardinali di 4 note.
110121 è invece il codice che riassume tutte le possibili relazioni intervallari tra le altezze dell’insieme. In questo caso abbiamo ad es. un semitono, un tono intero, nessuna seconda minore, una terza maggiore, due quarte giuste e una eccedente. Nel linguaggio del serialismo viene definito “vettore intervallare”. Io preferisco chiamarlo “codice intervallare” in quanto rappresenta una sorta di codice genetico dell’insieme piuttosto che una rappresentazione vettoriale.
In questo secondo codice che caratterizza un iniseme a ogni numero corrispondono in ordine progressivo gli intervalli dal semitono alla quarta eccedente. Gli intervalli di grandezza superiore vengono ricondotti al loro reciproco, sempre nella logica di ridurre e compattare le altezze in un insieme semplice.
In questo caso ad es l’intervallo di quinta do-sol viene conteggiato come quarta giusta, infatti risultano nella penultima cifra del codice due unità.
Gli elementi numerici che definiscono l’insieme sono quindi:
4-16 (0,1,5,7) [110121]
Il primo è il numero cardinale che ci informa della quantità di altezze e la loro categorizzazione, il secondo è la disposizione delle altezze in modulo12 (all’interno di un’ottava raggruppate nel modo più compatto possibile) e il terzo è la quantità e tipo di intervalli che caratterizzano l’insieme.
Queste informazioni sono sufficienti per avere una chiara definizione delle proprietà e potenzialità di qualsiasi insieme.
L’insieme appare piuttosto equilibrato nella sua distribuzione intervallare. A parte la terza minore, assente, e la quarta giusta, due presenze, gli altri intervalli sono rappresentati in modo omogeneo, con una presenza ciascuno.
È interessante presentare in questo senso un insieme sempre di quattro note perfettamente equilibrato dal punto di vista intervallare (fig. 7):
4-15 (0,1,4,6) [111111]
Confrontandolo con il nostro 4-16 emergono con evidenza le similitudini: entrambi sono costituiti dai sue sottoinsiemi 1-2 e 2-2, seconda minore e seconda maggiore. La sostanziale differenza che ne determina la qualità nella sua costituzione intervallare è data dalla distanza tra i due sottoinsiemi dove nel 4-15 è una terza minore e nel 4-16 una terza maggiore.
È proprio questa terza minore l’elemento mancante.
Nell’elenco degli insiemi si può notare anche l’insieme 4-16B. Stesse proprietà, ma diversa natura di altezze. Ecco che quindi la tabella degli intervalli ci può introdurre a relazioni tra materiali musicali apparentemente lontani.
Una volta completata una prima sommaria analisi dell’insieme, si possono applicare alcune proprietà che possono modificarlo. Le principali azioni sono: trasporto, inversione, permutazione e trasformazione.
Gli insiemi si possono inoltre dividere in sotto e sovra insiemi, processo interessante soprattutto per utilizzare questo materiale dal punto di vista improvvisativo.
Ovviamente ogni singolo intervallo di due note può essere considerato un sottoinsieme così il nostro 4-16 contiene sei sottoinsiemi di due note.
Con gli insiemi di tre note la faccenda è leggermente più complessa:
C Db F 0,1,5
C F G 0,5,7 F G C 0,2,7
C Db G 0,1,7 G C Db 0,5,6
Dd F G 0,4,6 F G Db 0,2,8
Per identificare invece i sovraisiemi possiamo partire dal codice intervallare e ad es. cercare tra gli insiemi di cinque elementi quelli che contengono gli intervalli del precedente più uno.
Consultando la tabella ne potrete trovare moltissimi, a testimonianza del potenziale di questo tipo di analisi.
Le proprietà degli insiemi e le relazioni che si possono quindi instaurare tra loro sono molteplici e questo tipo di analisi può essere fertile sia da un punto di vista compositivo che improvvisativo.
La mia prima composizione scritta utilizzando queste nozioni, è stata “Spazio Angusto”.
Potete ascoltarla qui: https://open.spotify.com/track/2aaJ23v8Y9yrggwyYc4WrU
Questa la partitura:
Il titolo nasce dalle caratteristiche del materiale musicale utilizzato: quattro insiemi di tre note ciascuno, insiemi semplici costruiti sulle prime combinazioni di piccoli intervalli, seconda maggiore e minore e terza maggiore, quindi uno spazio intervallare limitato e apparentemente limitante:
F#, G, Ab
A, Bb, C
Ab, Bb, B
F, Gb, A
Il primo, insieme 3-1, è costituito da una successione a distanza di semitoni.
Il secondo e il terzo hanno un tono e un semitono disposti in ordine inverso, ma nonostante questa apparente diversità appartengono alla stesso gruppo, il 3-2, che ha come codice intervallare 1,1,1,0,0,0.
Il terzo che contiene un semitono e una terza minore è il 3-3.
La prima sezione si sviluppa melodicamente con vibrafono, sax e basso che suonano coralmente la melodia ricavata dall’utilizzo esclusivo delle note dell’insieme.
Il brano è costruito prevalentemente dalla ripetizione di una sezione A di otto misure sviluppata e variata o inframmezzata da sezioni riorchestrate o finalizzate a momenti solistici.
I quattro insiemi sono utilizzati e suddivisi in blocchi di due battute ciascuno.
Il materiale di ciascun insieme è utilizzato in modo seriale: ogni nota di ciascun insieme è presente, con l’avvertenza di evitare la ripetizione della stessa all’interno di un singolo blocco, in modo da un lato di far percepire sempre il colore complessivo degli insiemi, dall’altro di evitare il più possibile una sensazione di tonalità o di predominanza di un’altezza sulle altre.
Vibrafono, sax e basso seguono rigorosamente questa idea come potete vedere alla lettera A.
Nell’utilizzo delle classi di altezza uno degli strumenti più semplici e interessanti per lo sviluppo melodico è quello del cambio di ottava.
Con insiemi così stretti, che nella loro forma fondamentale si muovono nell’ambito di semitono, tono e terza minore, il cambio di ottava dell’altezza di una nota determina la creazione di salti ampi: settime, seste e none.
Sax alto e basso seguono un movimento contrario in questo senso: dall’alto al basso per il primo e dal basso all’alto per il secondo. Il vibrafono come strumento polifonico sintetizza entrambi questi movimenti.
La composizione si sviluppa in modo più o meno rigoroso seguendo questo schema attraverso processi di orchestrazione, ripresa e variazione della sezione A, assoli e variazioni della formula ritmica, fondata anch’essa sulla presenza del numero 3 con un processo che in qualche modo replica l’idea di insieme a livello ritmico, con un contrappunto ritmico tra la linea del basso e il drum chant della batteria.
Un insieme di tre note offre possibilità di sviluppo interessanti, con l’utilizzo del tritono come intervallo traspositore, che trasforma il nostro insieme da 3 a 6 elementi
F# G Ab + C Db D
A Bb C + D# E F#
Ab Bb B + D E F
F Gb A + B C Eb
Gli insiemi di sei per le loro caratteristiche un ruolo particolare nella musica seriale. Innanzitutto ciascun esacordo ha un insieme complementare di altre sei note che va a completare l’insieme cromatico.
Un’ulteriore possibilità è inserire altre altezze che riconducano l’insieme a una scala (a questo punto tutte le scale conosciute possono essere considerate come un insieme) più familiare e caratteristica.
Il primo insieme di Spazio Angusto infatti può generare una scala cromatica, il secondo e il terzo, con l’inclusione delle note C# e G, due diverse scale diminuite, come anche l’ultimo con l’inclusione delle note B e F.
Ci sono artisti nel jazz che hanno usato o usano il materiale in un modo che può essere considerato molto vicino a quello delle classi di insiemi.
In primis Steve Coleman che esplicitamente vi fa riferimento, ad es. utilizza i numeri per indicare le armonie in sostituzione delle sigle e fa riferimento a gruppi di altezze senza relazione chiara accordale o dal punto di vista dell’armonia funzionale. Anche il grande Thelonious Monk sembra utilizzare gruppi di altezze nelle sue composizioni. In temi come Monk’s Mood e Epistrophy è evidente l’uso di un materiale composto di poche note astratto rispetto a un contesto accordale o scalare. Anche uno standard jazz come “I’ve got rhythm” è costruito su un insieme, solo all’apparenza banale. Ma a questa lista si potrebbero aggiungere molti altri brani e compositori, primo tra tutti John Coltrane, che hanno scritto o sviluppato la loro musica in modo analizzabile su base insiemistica. Ovviamente la questione non è se questi artisti utilizzassero o meno consapevolmente questo strumento di analisi, cosa della quale dubito, quanto l’uso che se ne può fare in fase di analisi e sviluppo anche improvvisativo.
L’uso di insiemi di altezze è strettamente legato all’idea delle “scale sintetiche”, termine ricorrente nella muscia contemporanea, ma usato anche da Yusuf Lateef nel suo “Repository of Scales and Melodic Patterns”, a conferma che tra jazz e contemporanea il dialogo è stato fitto.
Bibliografia e link:
Slonimsky Nicolas – Thesaurus of scales and melodic patterns. Previously published: New York: C.Scribner, 1947
Verdi, Luigi, Diastema 1998 Treviso – Organizzazione delle altezze nello spazio temperato
Andrea Lanza, E.D.T. 1980 Torino – Il secondo Novecento
Steve Coleman: https://m-base.com/essays/
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_pitch-class_sets
Yusuf Lateef, Fana Music, Repository of Scales and Melodic Patterns
https://www.mta.ca/pc-set/calculator/pc_calculate.html