Per quel che riguarda l’utilizzo della microtonalità nel jazz possiamo individuare due principali linee di influenza:
• una legata alla componente etnica e quindi a sistemi di intonazione e accordatura non occidentali
• una relativa alla musica classica occidentale e contemporanea
Il jazz ha sempre avuto una significativa propensione a una certa elasticità riguardo all’intonazione di alcune altezze. Si pensi al blues, lì dove alcune note caratteristiche godono di una qualche indeterminatezza, in particolare terza maggiore-terza minore, quarta aumentata-quarta giusta. Secondo molti studiosi questo fenomeno ha radici lontane, reminiscenze nella cultura afroamericana di sistemi di intonazione diversi adattati a quello occidentale.
A questo fattore storico-culturale possiamo aggiungere quello della propensione nel jazz all’ espressione di un suono individuale. In questo senso timbro e intonazione fanno parte di quei parametri rispetto ai quali il singolo gode della libertà di individuare soluzioni personali rispetto all’ideale estetico classico europeo, dove il musicista è formato per avere un timbro adatto all’esperienza orchestrale, e l’omogeneità va a discapito dell’originalità timbrica (o meglio, per essere più corretti, il margine di libertà creativa timbrica è maggiore).
Si pensi in questo senso ad artisti come Jackie McLean, che ha affermato in diverse interviste il suo “non essere intonato” come una precisa scelta espressiva, o, sempre per restare tra i sax alto, a Ornette Coleman e Eric Dolphy.
Inoltre tutta una serie di effetti (growl, glissati, wah-wah) confermano in questo senso una certa tendenza estetica a prescindere dalla precisione dalla perfetta intonazione anche nel jazz orchestrale (ad es. Mingus o Ellington) in favore di quella espressiva.
L’uso della microtonalità sembra rientrare quindi in una sfera di significato afferente al principio della pitch indirection, o, come sostiene Jeff D. Erickson, è espressione di un pensiero ellittico, ovvero “voler dire una cosa attraverso un’altra”:
A musical gesture that obscures its true intention by placing more emphasis on approach notes than target notes (metrically, dynamically, etc.) or other means of placing target pitches in a weak position.
e di seguito
An African American rhetorical strategy whereby the point is made through indirect means, such as innuendo
L’altra corrente di influenza microtonale nel jazz è invece legata all’ambito della musica colta europea. L’utilizzo della microtonalità nella musica occidentale è sempre stato presente sullo sfondo di tutta l’annosa riflessione tra i diversi sistemi di intonazione fin dal rinascimento, e trova un grande impulso dalla musica elettrica ed elettronica nello scorso secolo.
Dalla musica concreta e gli esperimenti di Darmstadt degli anni ‘50 fino alle ricerche dell’IRCAM ancora oggi estremamente fertili, le nostre conoscenze riguardo alla natura fisico-acustica del suono hanno fatto da stimolo a diversi autori nella ricerca di sistemi di divisione dell’ottava alternativi o, come nello spettralismo, all’utilizzo dell’analisi dello spettro armonico come struttura fondante delle composizione da un punto di vista melodico e armonico, includendo quindi altezze non temperate. A questo va aggiunto lo sviluppo delle scienze cognitive e delle neuroscienze che ha ulteriormente esteso il campo della sperimentazione percettiva.
Proprio legato all’esperienza dello spettralismo Steve Lehman, che è stato allievo a Parigi del compositore Tristan Murail, trova terreno fertile nell’uso della microtonalità nella composizione e nell’improvvisazione da parte di questo musicista newyorkese.
Nella sua tesi di dottorato presso la Columbia University dal titolo “Liminality as a Framework for Composition: Rhythmic Thresholds, Spectral Harmonies and Afrological Improvisation” Lehman dichiara espressamente la tripla influenza di concetti e tecniche dello spettralismo, della musica afroamericana e delle scienze cognitive.
This paper will examine the ways in which involvement with both French spectral music and Afrological forms of improvisation has informed my current work as a composer. I present a brief overview of the major concerns and preoccupations of both musics as well as an account of the overlapping histories of spectral music and Afrological improvisation, with particular attention to the concepts of liminality and rhythmic thresholds in the light of recent music perception research.
Il materiale melodico-armonico della composizione Echoes, analizzata nel trattato, è costruito ad es. sullo spettro armonico del vibrafono e contiene quindi altezze non temperate.
The harmonic language of Echoes is loosely based on the sound spectrum of a vibraphone, which produces a very clear sense of pitch despite the presence of some inharmonic partials, as well as a relatively loud 15th partial which sounds three octaves and a major seventh above the fundamental
Come scrive il musicista italiano Umberto Tricca nella sua dissertazione su Lehman per il Conservatorio Cherubini di Firenze:
Infatti il E-1(41,2 Hz) del vibrafono, viene ribadito dal secondo armonico E- 2(82,4 Hz) suonato dal basso tuba e dal basso acustico, mentre il sax tenore intona il settimo armonico ovvero 1⁄4 di tono più calante rispetto la settima minore temperata (C 3⁄4 #), il sax Alto e trombone rispettivamente intonano il nono F# e il decimo armonico G#, e la tromba intona l’undicesimo armonico ovvero una quarta crescente A 1⁄4 #.
Va precisato che l’uso della microtonalità è applicato in alcune composizioni e improvvisazioni di Lehman, mentre in altri contesti non è presente, anche se il suo linguaggio personale sassofonistico sembra sempre esserne più o meno consapevolmente influenzato in particolare rispetto all’intonazione di alcune altezze. L’uso della microtonalità sembra principalmente essere quindi legato esteticamente a quelle composizioni riconducibili allo spettralismo, per in qualche modo “giustificarne” l’uso, mentre in altre composizioni e improvvisazioni, specialmente standard jazz, non vi è presenza di ricorso a questa tecnica. Lehman possiede comunque un ampio bagaglio di tecniche estese vicine al linguaggio della musica contemporanea, da alernative fingering a multiphonic, all’uso dell’elettronica.
Riguardo a influenze non occidentali il jazz contemporaneo ha incorporato nei propri linguaggi influenze di diverse culture. Ad esempio Rudresh Mahanthappa, Vijay Iyer, Rez Abbasi, musicisti statunitensi ma tutti di origine asiatica, hanno inserito nella loro musica elementi delle loro culture di origine. In particolare Mahanthappa, che per restare in tema ha registrato proprio con Steve Lehman un disco dal titolo “Dual Identity” (2010, Cleen Feed), utilizza scale e modi di origine extraeuropea con un ampio ricorso all’utilizzo di quarti di tono.
La microtonalità trova nel sassofono una interessante possibilità espressiva lì dove attraverso una tecnica di diteggiature particolari si possono ottenere sostanzialmente tutti i quarti di tono con esclusione, purtroppo di quello tra sol e sol diesis, alcune note del registro più grave, dal do diesis in giù, e di quello acuto e sovracuto, cui si può sopperire comunque in modo relativamente facile attraverso l’imboccatura. Esiste un’ampia letteratura in questo senso e alcuni titoli sono stati da me inseriti nella bibliografia.
Lehman utilizza frequentemente la microtonalità nell’improvvisazione con una logica e tecnica più riconducibile all’influenza contemporanea piuttosto che a quella etnica. Da notare che Lehman è stato in gioventù allievo, oltre che di Braxton, anche di Jackie McLean. Entrambi, per sua stessa ammissione, hanno avuto una decisa impronta sulla sua visione estetico-artistica.
Amir ElSaffar, musicista e compositore di Chicago, di origine irachena, ha sviluppato un sistema di applicazione del maqam alla strumentazione, al materiale melodico e a quello armonico del jazz.
Il maqam è un sistema di modalità utilizzato nella musica araba, legato a una prassi improvvisativa tramandata oralmente, con alcuni schemi e cellule fondamentali ricorrenti. Lì dove molti artisti che si sono ispirati a sonorità arabe hanno “occidentalizzato” il materiale melodico non ponendosi questioni riguardo all’intonazione, ElSaffar, che oltre la tromba suona il santur e canta, utilizza in maniera rigorosa i microtoni, attraverso diteggiature non convenzionali negli strumenti a fiato, e accordando pianoforte e strumenti a corde in modo funzionale ai modi del maqam.
Quando parliamo di maqam e musica araba ci riferiamo a un sistema musicale sviluppato in secoli e in un territorio estremamente vasto. Basti pensare alla molteplicità di diverse musiche europee, alcune poi a loro volta influenzate da quella araba, per capire che si tratta un argomento complesso da affrontare. Complesso e sofisticato; quella araba è una tradizione nella quale, come ci ricorda Sorce Keller in “Musica e Sociologia”, ci sono stati tramandati principalmente nomi e contenuti dei teorici della musica, piuttosto che di compositori o esecutori.
Il maqam in questione, che ricorda lo Jins Hijaz, in realtà deriva dalla tradizione della musica persiana, ed è entrato a far parte della cultura araba a partire della occupazione islamica della regione dell’antica Persia nel VII sec d.C. Si tratta qui del Dastgah Hemayoun, da cui il titolo del brano, simile al quinto grado di una scala armonica ascendente. Simile perché proprio il sesto grado di questa scala è aumentato di un quarto di tono, e posto a metà tra il sesto maggiore e minore che caratterizza la differenza tra scala melodica e armonica, e il settimo grado abbassato di un quarto di tono.
La scala risultante, come risulta dall’armatura in chiave dello stesso ElSaffar, può essere trascritta come re mi- fa+ sol la sib do, dove il simbolo “+” sta per “aumentato di un quarto di tono” e il “-” diminuito.
Tra re e mi- è presente quindi la distanza di tre quarti di tono, mentre tra mi- e fa+ quella di quattro quarti di tono, quindi un tono intero. Qui l’armatura in chiave caratterizzante il modo:
L’ambiguità tra minore melodica e armonica sembra risolversi da un punto di vista percettivo per la seconda. Suppongo che la nostra abitudine uditiva tenda a dare predominanza alla percezione di due intervalli di grandezza diversa, e quindi a ricondurre al semitono-seconda aumentata caratterizzante la scala armonica.
La modalità araba, analogamente a quella occidentale, è costruita dalla combinazione di due tetracordi, che possono però essere tra loro intercambiabili, in modo analogo a quanto succede con la scala minore melodica. Queste sostituzioni di tetracordo seguono delle regole precise legate all’andamento melodico e ritmico delle frasi musicali.
Il brano presenta una forma piuttosto complessa con una sezione, le prime sette misure, che ritorna più volte durante il brano e viene eseguita in modo omofonico dagli strumenti. Le altre sezioni della composizione vedono la presenza di pedali sui quali gli accompagnatori della melodia principale suonano liberamente intorno alla modalità.
Il brano Hemayoun è presente nel disco “Two Rivers” del 2007 edito da Pi Recordings, con la presenza non casuale al sax al fianco di El Saffar proprio di Mahanthappa.
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