Il tema è complesso e articolato e tuttora vede diverse definizioni e interpretazioni a partire dalla distinzione tra ritmo e metro.
Ad es. troviamo in “Canone Infinito: lineamenti di teoria della musica” di Loris Azzaroni (Ed. CLUEB, 2001):
(..) non vi è accordo fra i teorici della musica: 1. netta separazione fra ritmo e metro; 2. presenza di momenti «forti» che ritornano a determinati intervalli di tempo rendendo percepibile una struttura accentuativa definibile come metro. Sul primo punto alcuni teorici sono dell’avviso che il metro sia una sorta di sottinsieme del ritmo, e non, come invece pensano altri, qualcosa di nettamente distinto da esso, o addirittura un riferimento implicito indispensabile alla percezione del ritmo;
e sempre sul tema dallo stesso autore:
L’irrisolta diatriba fra accentualisti, seguaci della Scuola di Solesmes e mensuralisti nell’interpretazione del canto gregoriano, la distribuzione delle durate su base quantitativa (durate lunghe e brevi) e non accentuativa nella produzione musicale della Scuola di Notre-Dame (modi ritmici), i concetti di perfezione e di gruppo mensurale come base dell’articolazione temporale dei repertori polifonici fino al XVI secolo (mensurazione), la tendenza a spezzare qualunque forma di prevedibile periodicità in molta musica dell’Otto e Novecento, sono solo alcuni esempi della complessità delle questioni che ruotano attorno ai concetti di ritmo e di metro. La situazione – pur entro certi limiti – risulta un po’ più chiara solo per il periodo che va dall’inizio del Seicento alla metà circa dell’Ottocento, se non altro perché l’accento musicale diviene un elemento di interpunzione, differenziazione e caratterizzazione del continuum sonoro tanto forte da porsi come riferimento imprescindibile sia sul versante compositivo che su quelli esecutivo e percettivo.
Qualche relativo chiarimento sul tema successivamente sempre dallo stesso autore:
Laddove in un complesso polifonico due o più delle voci costitutive siano articolate temporalmente secondo metri o ipermetri diversi, la struttura articolatoria globale presenta una combinazione sincronica di scansioni metriche diverse e talora contrastanti; la coesistenza simultanea (non diacronica!) di metri diversi si dice polimetria. Nella letteratura musicale di ogni tempo casi di questo genere sono praticamente infiniti: si pensi ad es. alla polifonia arsnovistica, del Quattrocento e del Cinquecento (cfr. ess. 2.33-34), al contrappunto bachiano, a certi contrasti metrici di epoca tardoclassica e romantica, alle complesse strutture polimetriche del primo Novecento e della musica contemporanea. In tutti questi casi la comprensione del metro è messa a dura prova: la regolarità, la «quadratura» metrica del periodo aureo del classicismo più che la norma sembra essere l’eccezione che conferma la regola.
In modo parallelo alla multimetria e alla polimetria (cfr. sopra), la multiritmia e la poliritmia si riferiscono alla presenza di gruppi ritmici diversi rispettivamente in un contesto monodico e polifonico. Nell’esempio 2.19a-b, tratto da Machault, seppure ad ampio raggio si è notato il ripetersi di un identico raggruppamento di durate (talea) per tutta la durata del tenor, pro- cedimento, questo, che va sotto il nome di isoritmia
Da questo possiamo derivare innanzitutto la differenza nei prefissi multi e poli, lì dove il primo definisce eventi diversi in successione, il secondo invece simultanei.
La differenza tra metro e ritmo invece sembra essere più complessa da definire, si veda in proposito
Se il metro è una successione di tempi configurata secondo un’alternanza di un tempo forte e un tempo debole (metro doppio), oppure secondo un’alternanza di un tempo forte, un tempo non accentato e un tempo debole (metro triplo), ciò significa che nella definizione di metro non entra direttamente il concetto di suddivisione dei tempi in sottounità, ossia la percezione del metro non dipende in prima istanza dal tipo di suddivisione interna dei singoli tempi; la diversità di suddivisione dei tempi in sottounità determina unicamente la tipologia delle unità metriche (a suddivisione binaria o ternaria) e, insieme alla durata di tali unità, entra nella nostra percezione del metro e nella valutazione delle sue uguaglianze e diversità, regolarità e irregolarità. Un metro che, per aggiunte successive di sottounità ai tempi che lo scandiscono, si offre come una successione di durate di impulsi costantemente variabili, verrà ancora percepito come metro, tutt’al più come metro irregolare. Un caso del genere si riscontra in Messiaen:
e sempre in seguito
impossibile poter arrivare ad una formulazione univoca e sufficientemente soddisfacente del concetto di ritmo musicale, compresa fra i due limiti di una formulazione estremamente rigida (del tipo: “Il ritmo musicale è l’articolazione temporale degli accenti”) e di una largamente onnicomprensiva (del genere: “Il ritmo è uno degli aspetti percepibili delle configurazioni del tempo musicale”
e ancora invece Nattiez1 sostiene che
il ritmo è caratterizzato soltanto da intervalli di durata fra gli eventi privi di altezza, intensità e timbro”
Cooper e Meyer nel loro celebre The Rhithmic Structure of Music2:
“Il ritmo può essere definito come il modo in cui uno o più impulsi non accentati sono raggruppati in rapporto ad un impulso accentato
Per chiarire le differenze si introducono concetti più elaborati come “tempo fisico” e “tempo cronometrico”, si veda sotto ad es.:
Da quanto detto finora si evince che metro e ritmo (sia che li si voglia intendere come fenomeni autonomi benché intercorrelati, oppure come fenomeni tali per cui il metro è di per sé contenuto nel ritmo) caratterizzano due diversi aspetti del tempo musicale, che sono fra loro in rapporto simbiotico e dialettico: un aspetto temporale essenzialmente «meccanico», articolato all’interno della misura e dell’ipermisura in tutta la musica dall’epoca barocca a quella romantica, cui David Epstein si riferisce con il termine tempo cronometrico, e un aspetto denotante l’unicità organizzativa del tempo intrinseco ad ogni composizione, arricchito e qualificato dalle esperienze particolari entro cui si struttura, che Epstein vede come tempo integrale
Unità di misura del tempo cronometrico sono al primo livello l’impulso (o battito, beat), ed al secondo livello il metro, a sua volta organizzato e strutturato in impulsi; nella musica classico-romantica Epstein associa tali unità a qualcosa di dato a priori, di innato in un sistema che per una serie di convenzioni stilistiche è come preesistente alla composizione. L’unità di misura del primo livello del tempo integrale è invece la pulsazione (pulse), che Epstein vede come qualcosa che può corrispondere alla sensazione di insorgenza-enfasi-spegnimento della pulsazione nel sistema circolatorio o all’alternanza tensione-riposo nel ciclo respiratorio78; al secondo livello i pulses – che a differenza dei beats possono dilatare o comprimere il tempo musicale a seconda del grado di tensione e distensione interne al contesto specifico – si raggruppano in unità di maggiore ampiezza, che sono per lo- ro natura ritmiche e relazionano sequenze di impulsi, con modelli (patterns) ritmici specifici di ogni opera
tempo cronometrico
metro unità minima: beat
enfasi: accento metrico
fattori determinanti: schema precompositivo, stabilito dalle convenzioni stili- stiche; queste conferiscono al metro determinate caratteristiche: metro a due e tre tempi, successione tempo forte-tempo debole, battere-levare, aspettativa di regolarità accentuativa
tempo integrale
ritmo unità minima: pulse
enfasi: accento ritmico
fattori determinanti: contesto derivante dalle premesse compositive di ogni singola opera; successione accentuativa derivata da fattori che esulano dal ritmo in senso stretto: armonia, cadenze, pro- filo melodico, e così via
Se troviamo tanta e tale difficoltà nel definire i fenomeni ritmici nell’ambito della cultura musicale occidentale, dotata di un sofisticato substrato di analisi musicologica, difficile dipanare nel jazz questo groviglio.
Steve Coleman sostiene ad es.3:
(..) the western concepts of time signatures (including so called “common” and “odd time signatures”) largely do not exist and have no place in creating music. These concepts come from European art music and the concepts of M-Base are based primarily on music from Afrika and creative music of the Afrikan Diaspora (where in the last 76 years there has been a steady progression to use non- western concepts as a basis for the music). This music is unique primarily in the areas of spiritual, rhythmic and melodic development.
Il fatto, inoltre, che nel jazz, come in molte musiche di tradizione orale, la musica non sia mediata necessariamente da un codice intersemantico come quello della scrittura musicale, rende ancora più arduo stabilire le intenzioni del musicista e la percezione di un evento complesso temporalmente.
Possiamo quindi a mio parere, per semplicità, stabilire che la differenza tra metro e ritmo sia in un diverso grado di strutturazione interna della frase ritmica e che la pulsazione sia un concetto connettivo tra i due.
Come nella questione microtonale, anche riguardo alle figurazioni ritmiche nel jazz contemporaneo possiamo individuare due matrici di influenza: una etnica e una legata alla musica contemporanea.
Da un lato troviamo artisti come Steve Coleman che nell’elaborazione di schemi ritmici articolati si rifanno ad un’idea ciclica della percezione ritmica, metafora dei processi naturali. Coleman ha approfondito lo studio di diverse culture musicali extraeuropee, spesso attraverso residenze in Africa e Sud-Centroamerica, cercando di entrare in connessione diretta con queste tradizioni e trasferendone alcuni contenuti nella sua musica.
Al contrario artisti come il già citato Steve Lehman, che pur dichiara la sua matrice ritmica come afroamericana, nella sua musica manifesta diverse analogie con la multimetria della musica contemporanea oltre ad analogie con la concezione di livelli ritmici diversi sovrapposti (polimetria o polipulsazione) si pensi a “Vortex Temporum” dello spettralista Grisey. A questo si aggiungano i suoi studi in ambito delle scienze cognitive sulla percezione del ritmo.
In generale, tornando alla tesi di Erikson questi fenomeni rientrano, come la microtonalità, nell’idea di “indirection” e il senso di significare in modo allusivo, indiretto e metaforico della cultura africana:
Use of cross rhythms, polymeter, accenting weak beats, playing ahead of or behind the beat, playing straight eighths against a swing rhythm backdrop, etc.
Ho cercato di applicare questi principi ad alcune mie composizioni originali, nate spesso come un esercizio: Hyper Steps è contrafact di Giant Steps di John Coltrane, costruito sull’idea di attribuire a ogni accordo o battuta un tempo diverso in ordine crescente e decrescente da due a sei ottavi.
La distribuzione multimetrica avviene in modo asimmetrico rispetto alle funzioni armoniche, creando un effetto se non di rallentamento e accelerazione, visto che la pulsazione sottostante rimane costante, di allargamento e restringimento dello spazio armonico.
Da notare che attraverso questa costruzione multimetrica si creano delle interessanti simmetrie, delle vere e proprie forme ritmiche palindrome come da battuta 1 a 3 (5/8, 4/8; 5/8), da 6 a 9 (7/8, 2/8/, 7/8) e da 11 a 18 (con la presenza di tutte le figurazioni da 6/8 a 2/8 e vicevera). Per semplicità esecutiva ho raggruppato le misure consecutive di due e tre ottavi in una da cinque. La natura ritmica del brano è, a mio parere, stimolante per cercare all’interno di questa nota progressione armonica nuove e inattese soluzioni melodiche.
No Evidence, contrafact di Evidence di T. Monk (che a sua volta è contafact “Just you, just me”) è costruita secondo due principi diversi, uno ritmico e l’altro melodico. La costruzione della multiritmia (utilizzo questo termine invece di multimetria perché la struttura è fondata su frasi ritmiche mentre Hyper Steps su metri diversi in successione) avviene secondo il principio che gli accenti del tema originario rappresentano il battere di misure calcolate sulle distanze tra gli stessi, salvo qualche aggiustamento (le idee sono importanti ma poi vanno adattate ai fini estetici..).
Dal punto melodico invece è stato scritto un tema che mantiene le altezze della melodia originale, integrate da frasi di connessione. Da questo effetto di mascheramento per estensione melodica ha origine il titolo No-Evidence.
Il tema finale è costruito su progressive riduzioni melodiche al fine di svelare gradualmente la melodia originaria.
Ho scritto inoltre una seconda linea attribuendola al basso, ma può essere comunque utilizzata da altri strumenti durante l’esecuzione.
Gli accordi originali sono stati modificati non da un punto di vista funzionale, ma attraverso alcuni modal interchange, spesso legati agli insiemi di altezze originati dal materiale melodico utilizzato.
Nella sezione B il vibrafono espone in solo la seconda figura (una serie di sei note che viene retrogradata nella seconda parte della sezione) costruita su un metro di 3/8.
Questi due ritmi sono eseguiti contemporaneamente dalla quinta misura della lettera C, entrambi retrogradati melodicamente, suonati alternativamente da sax e vibrafono.
Alla lettera F compare al vibrafono e poi alla batteria un nuovo ritmo, dal metro illusoriamente binario, divisibile in due semifrasi una di 12/8 e l’altra di 9/8.
Monoesatono è una composizione di Alessandro Fedrigo , melodicamente costruita su due insiemi esacordali complementari e ritmicamente basata su una poliritmia nella sezione A (batt. 7-8) di cinque ottavi su sei, la cui somma dà un tempo complessivo di 15/8. La batteria e il sax suonano il sei ottavi mentre il riff del basso scompone i quindici ottavi in un metro di cinque ottavi ripetuti sei volte, creando un effetto poliritmico.
Il B (misura 9 e 10) è costituito da un tempo di 7/8.
Elgotar Bengotar è un’altra interessante composizione di Alessandro Fedrigo costruita da un punto di vista armonico nella parte A con strutture intervallari di terze maggiori e minori e con un’idea polimetrica in cui tre figure diverse (tre, quattro e cinque ottavi ripetuti ciascuno quattro volte) vengono attribuite in modo asincrono tra di loro creando sostanzialmente un effetto di costante percezione di pulsazioni diverse sovrapposte, ma che hanno un punto d’incontro comune ogni 20/4.
sezione B richiama l’idea di Hyper Steps, con una successione decrescente da sei a due ottavi, e costruita da due insiemi di altezze complementari.
Partiture Complete: